”Le persone perfette non combattono, non mentono, non commettono errori e non esistono.” (Aristotele)
Tanto tempo fa ho letto un piccolo libro il cui titolo mi è rimasto impresso: Vincere sbagliando. Ma come è possibile? Direbbe chi è artefice e vittima allo stesso tempo della perfezione, dell’essere perfetti.
In effetti si può finire a fette quando l’attenzione all’ordine, alla precisione, al compimento di attività e di obiettivi domina nelle persone che vivono con richieste sempre più elevate e sfide incessanti, al fine di eccellere, conquistare un’immagine positiva e vincente. Queste persone spesso sono insoddisfatte, alla continua ricerca di qualche cosa, per cui c’è sempre da fare qualcosa e si può sempre farlo meglio. Rischiano molto, tanto quanto stimolante e avvincente è la possibilità di perseguire standard elevati (nella vita professionale, nella scuola e negli studi, nelle relazioni sentimentali, nella relazione con se stessi, nello sport). Sono persone che mal sopportano lacune, nei e ombre nel loro operato, errori e insuccessi nella loro prestazione, tanto da essere sempre rivolti con lo sguardo alla meta. Peccato che una volta raggiunta non è così appagante come credevano e quindi si mettono in moto per un altro traguardo.
E così queste persone non finiscono mai, o meglio possono sfinirsi, fino all’esaurimento, senza rendersene conto, quando ormai è troppo tardi e i livelli di stress e di burn out sono tali da sentirsi esausti, privi di energia, bruciati appunti.
Un conto è la tensione e il desiderio di migliorarsi e di progredire, con un atteggiamento costruttivo. Altro è lo stato in cui i livelli di controllo e di vigilanza si alzano, non ci si permette di sbagliare e ci si impone criteri di impeccabilità. Il perfezionismo è correlato ad un maggior rischio di dipendenza dal lavoro (workhaholic), di essere intossicati dalla prestazione da dare, con sintomi depressivi, di ansia e bassa qualità della vita.
Come guarire dalla smania di eccellenza?
- capire prima di tutto quale è il proprio livello di perfezionismo: se evitiamo di invitare amici in casa per non scomporre l’ordine cui teniamo, facciamoci qualche domanda.
- capire la ragione del nostro essere perfetti: siamo severi e critici con noi stessi, crediamo di essere accettati solo se siamo senza macchia?
- gustare il viaggio che porta alla meta, anziché guardare solo alla meta, all’ideale che ha solo il compito di ispirarci e di stimolarci.
- rispettarci e perdonarci gli errori, le mancanze, essere benevoli e anche clementi con noi stessi, anziché giudici ipercritici.
- considerare il tempo che dedichiamo ad un solo compito, ripetendo e rifacendo sempre lo stesso lavoro, anziché andare avanti, evitando di fissarsi sui dettagli.
- valorizzare ciò che abbiamo già fatto e conseguito, anziché fissare lo sguardo su cosa manca. E considerare che c’è sempre una soluzione, un rimedio all’errore per cui essere proattivi impegnandosi in altro.
- delegare affidandosi anche agli altri e facendosi aiutare.
- celebrare i successi, le vittorie, i progressi come segno di autostima e giusto autocompiacimento, serve all’umore e serve a riconoscere che ce l’abbiamo fatta, senza farci a fette.